+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,1-10)
In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
La preghiera della Chiesa di questa domenica porta con sé immagini di primavera: «Il Signore è il mio pastore. Su prati d’erba fresca mi fa riposare; mi conduce ad acque tranquille…» (Sl 22). Il paesaggio, il pastore e le sue pecore invita a immergerci in una visione pacificata della vita e della storia. La natura e gli uomini sembrano definitivamente riconciliati nei rapporti tra guide-pastori e popolo. Un quadretto di vita campestre con tanta di pace, sicurezza, abbondanza, felicità…
Domenica del Buon Pastore, ma possiamo anche tradurre domenica del Pastore Bello, l ’Evangelista usa il termine greco Kalos, che significa bello, e anche buono. Invito a riscoprire Dio come bello e buono, e quindi: vero. La bellezza attrae per natura sua, non costringe, ma muove verso se stessa, è il fascino. Dio è la bellezza. Egli «attira» il nostro desiderio di Lui, ogni uomo sente il desiderio di incontrarlo: «ci hai fatti per te e il nostro cuore inquieto non ha pace se non in te», afferma S. Agostino. Leggendo con attenzione il brano del Vangelo, ci accorgiamo che le immagini proposte sono tutt’altro che idilliache e stereotipate.
Ci presentano la contesa fra pastore buono, legittimo e i ladri e i briganti. Il pastore «entra per la porta», a indicare la familiarità dei rapporti, il prendersi a cuore la sorte del gregge; i ladri e i briganti, invece, «vi salgono da un’altra parte», per cogliere di sorpresa, terrorizzare e rendere schiave le pecore. Gesù è colui davvero il pastore bello, buono a cui sta a cuore la vita del gregge. Lui è la «porta»: «Io sono la porta delle pecore».
E’ la voce: «Le pecore conoscono la sua voce» Nell’ambiente palestinese c’è il recinto dove sono alloggiati diversi greggi appartenenti a svariati padroni che, per la notte, affidano le proprie pecore alla sorveglianza di un guardiano. Al mattino si presentano i vari pastori. E ciascuno chiama le proprie pecore che, così, escono fuori e lo seguono. Pur confuse, mescolate insieme, le pecore rispondono unicamente all’appello del proprio padrone. Non vanno dietro a un altro pastore, che per loro risulta «estraneo». E’ la voce che permette il riconoscimento. «Un estraneo… non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Le pecore, nel recinto, durante la notte, possono provare l’impressione di aver perduto il pastore, di essere state abbandonate da lui. Lo ritrovano, al mattino quando «ascoltano la sua voce». Allora avviene l’incontro, il riconoscimento reciproco, grazie a una specie di «liturgia della voce». E la voce che permette di distinguere il pastore dagli estranei. Maria di Magdala, il mattino di Pasqua, quando si affida al «vedere», piange perché avverte ciò che le è stato tolto: «Hanno portato via il mio Signore dal sepolcro e non so dove l’hanno posto» (Gv 20,13).
Lo ritrova al suono della voce: Maria! – Maestro! Quel timbro, quel tono, il nome pronunciato in quella maniera, fanno scoccare la scintilla del «riconoscimento» «Chiama le sue pecore una per una...» Il Signore pronuncia il mio nome, pronuncia la mia verità, il mio tutto; egli «entra e conosce», è capace cioè di capire e accogliere le emozioni e i sentimenti. Sulla sua bocca il mio nome dice che gli sono caro. Mi chiama con il nudo nome, senza evocare nessun ruolo, o autorità, o funzione, o attributo, nel riconoscimento della mia umanità profonda, della mia più pura umanità. Dunque una relazione che vive di ascolto della voce di Gesù. La domanda per noi, per me, potrebbe essere questa: io ascolto e quanto ascolto le parole di Gesù? Con quale sete le ascolto? Con quanto desiderio? Essere a tal punto familiari ed amici da riconoscersi alla voce. Come non augurarci di riconoscere Gesù tra mille e mille voci?
E seguire: “mi seguono”. Questo è un verbo di cammino, fuori dai recinti. L’appartenenza a Gesù è un andare, un andare dietro di lui, un seguire i suoi passi. E allora se lui dà vita e dà felicità, anche tu, per quanto puoi, lavora per la vita – che sia dignitosa – di tutti. Per la felicità, di tutti. Io sono chiamato per nome. Quella voce è un appello. Io buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. Quando mi sento interpellato personalmente, avverto una sollecitazione a muovermi, a mettermi in cammino, a tener dietro al Pastore. Troverò forza per seguirlo e gioia nel godere la sua presenza amica.
don Guido